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Libretti Blu

Le Collane della Fondazione Magna Carta

Un nuovo Iran? Cosa si nasconde dietro la “charm diplomacy” iraniana

Il 9 dicembre 2013, presso la Sala della Mercede alla Camera dei Deputati, la Fondazione Magna Carta ha promosso la tavola rotonda dal titolo “Un nuovo Iran? Cosa si nasconde dietro la ‘charm diplomacy’ iraniana”.

L’Iran rappresenta uno degli Stati chiave negli equilibri dell’area Mediorientale, che suscita l’attenzione degli osservatori internazionali per una serie di questioni che vanno dalle posizioni espresse nei confronti di Israele e dell’Occidente fino a toccare i temi della sicurezza, del nucleare e del rispetto dei diritti. Con l’elezione lo scorso agosto di Hassan Rouhani a settimo presidente della Repubblica islamica iraniana, cui hanno fatto seguito le aperture al cambiamento e ad un rinnovamento delle relazioni con gli altri Stati, restano ancora molti nodi da chiarire e in particolare una serie di domande a cui rispondere: possiamo davvero parlare di un nuovo Iran? Si nasconde qualcosa – e se sì, cosa – dietro la “charm diplomacy” iraniana?

Apertura dei lavori di Fabrizio Cicchitto, Presidente della Commissione Esteri alla Camera. Interventi di: Luca La Bella, esperto dell’Istituto Ce.S.I., Fiamma Nirenstein, giornalista ed esperta di Medio Oriente, Alan Salehzadeh, ricercatore presso la National Defence University (Finland), Emiliano Stornelli, Senior Fellow del Comitato Atlantico Italiano. Modera Emanuele Ottolenghi, Senior fellow della Foundation for Defense of Democracies.

Per poter ricevere il volume, si prega di contattare la fondazione Magna Carta scrivendo a segreteria@magna-carta.it o chiamando il numero +39 06 42 01 4442.

Liberare l’economia: meno tasse più crescita

Liberare l’economia: meno tasse più crescita

Nel dibattito politico italiano ed europeo si fronteggiano due posizioni entrambe parziali e unilaterali: la posizione rigorista (che pone l’accento esclusivamente sul rigore dei conti pubblici) e quella sviluppista (che si concentra solo sulla necessità di impulsi pubblici al processo di crescita economica).

Si tratta di una falsa contrapposizione. Solo con una politica di rigore finanziario si pongono le basi per un autentico processo di sviluppo economico e solo con un’economia che cresce il rigore dei conti diventa praticabile e soprattutto sostenibile nel tempo. Il problema che abbiamo di fronte non è dunque scegliere tra rigore e sviluppo, quanto piuttosto trovare la strada per coniugarli, preservando l’equilibrio del bilancio e al contempo riattivando i processi di crescita dell’economia.

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Per una Costituzione più democratica e più efficace

Per una Costituzione più democratica e più efficace

“Per una Costituzione più democratica e più efficace”, un Libretto Blu che espone dieci tesi per spiegare perché è corretto – nel nostro Paese – proporre una riforma che preveda l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Contiene anche una tabella sinottica in cui si confrontano la Costituzione vigente e quella riformata per l’elezione diretta del Capo dello Stato.

Le dieci tesi:

  1. L’elezione diretta del Presidente della Repubblica non è una proposta estemporanea né un espediente tattico nell’ambito del dibattito parlamentare sulla riforma delle istituzioni. Il tema ha origini antiche e nobili natali.
  2. L’elezione diretta del Presidente caratterizza ordinamenti costituzionali di altri importanti Paesi dove ha garantito ottimi risultati in termini di qualità della democrazia e di efficienza delle istituzioni.
  3. L’elezione diretta del Presidente riuscirebbe a perseguire contemporaneamente rappresentanza democratica e capacità decisionale. In particolare il modello francese coniuga le garanzie della democrazia parlamentare e la forza della democrazia presidenziale.
  4. L’elezione diretta del Presidente consentirebbe di superare i limiti del modello assembleare delineato dalla Costituzione.
  5. La fine della contrapposizione ideologica della Prima Repubblica rende oggi praticabile la prospettiva di introdurre in Italia l’elezione diretta del Presidente.
  6. L’elezione diretta del Presidente è l’unica strategia per fronteggiare efficacemente la profonda crisi di legittimazione della politica.
  7. L’elezione diretta del Presidente consentirebbe al nostro Paese di presentarsi in sede europea con un vertice istituzionale dotato di una forte legittimazione democratica e quindi più credibile e più capace di far valere in quella sede le idee e gli interessi dell’Italia.
  8. L’elezione diretta del Presidente rappresenta la migliore garanzia per scongiurare il rischio che la crisi della Seconda Repubblica si traduca in una restaurazione della Prima, la migliore strada per edificare un bipolarismo maturo.
  9. L’elezione diretta del Presidente  – se accompagnata da adeguati meccanismi costituzionali – può costituire la migliore garanzia per le prerogative dell’opposizione e può fornire le risposte più efficaci contro i rischi di tirannia della maggioranza.
  10. L’introduzione dell’elezione diretta del Presidente rappresenterebbe una riforma dello stessa paradigma costituzionale del nostro Paese ed è pertanto opportuno che sia accompagnata da una chiara manifestazione di volontà popolare. Occorre però evitare il rischio che il rinvio ad un pronunciamento popolare si traduca in un rinvio sine die della riforma.

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I valori al tempo della crisi del debito pubblico

I valori al tempo della crisi del debito pubblico

“I valori al tempo della crisi del debito pubblico”, un Libretto Blu che raccoglie il Paper “La crisi, i valori non negoziabili, il bisogno di una nuova laicità“, il testo completo del “Manifesto di Norcia”, presentato in occasione degli Incontri di Norcia 2011 – La forza della tradizione, le sfide del cambiamento e “L’agenda bioetica del Governo Berlusconi”.

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Sulle funzioni pubbliche e sussidiarie delle libere professioni

Sulle funzioni pubbliche e sussidiarie delle libere professioni

Nel principio di sussidiarietà si colloca oggi una delle cifre del vero riformismo. Formule moderne come quella della Big Society o della New Governance sono costruite sul questo principio.

Ma anche la nostra tradizione più autentica ed efficace si è sviluppata sulle coordinate del principio di sussidiarietà: dai distretti industriali alle banche, dalle opere sociali a quelle culturali.

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I valori della tradizione nazionale

I valori della tradizione nazionale

Introdurre un dibattito sui “valori della tradizione nazionale” significa innanzi tutto riflettere sul rapporto tra religione e politica, sul significato della laicità e sulla presenza dei princìpi cristiani nello spazio pubblico.

A meno di voler rinnegare le proprie origini e la propria identità, infatti, non ha senso parlare della nostra tradizione senza far riferimento al cristianesimo.

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SUD. Le ragioni di un nuovo meridionalismo

SUD. Le ragioni di un nuovo meridionalismo

A chi ha evocato il “patto del Sud” almeno un merito va riconosciuto. Ha contribuito a riaprire nel centrodestra un dibattito sul meridionalismo, troppo a lungo messo da parte.

l Sud è stato negli ultimi vent’anni la parte del territorio nazionale che, di volta in volta, ha attribuito la vittoria politica a questo o a quello schieramento. Perché, a fronte della stabilità elettorale del Nord e del Centro (egemone il centrodestra nel primo caso, il centrosinistra nel secondo), nel Mezzogiorno il consenso ha avuto un andamento pendolare ma, in ogni caso, sempre sfavorevole nei confronti della classe politica al potere, a livello nazionale così come a livello regionale.

È stato questo il modo con il quale la società meridionale ha reagito alla mancanza di progettualità, al malgoverno e alla progettualità sbagliata. Il PdL non può far finta di niente. Conta su un bonus, che gli deriva dai fallimenti che le giunte di centrosinistra hanno collezionato nelle regioni meridionali dall’Abruzzo alla Calabria. Ma la rendita non è eterna e, per questo, le risposte non possono più tardare.

Si apre a questo punto un dilemma interno, che va oltre le convenienze del momento per proporsi come vero e proprio spartiacque politico-culturale: il PdL deve seguire “la via bassoliniana al Mezzogiorno” provando a coniugare sul versante del centro-destra il mito dell’autonomismo meridionale e del differente progetto di sviluppo o, piuttosto, deve essere in grado di rilanciare quel meridionalismo strategico e nazionale che si è esaurito con la stagione dell’intervento straordinario e si è infranto contro gli scogli delle Regioni?

Io sono per questa seconda opzione. Ritengo, anzi, che se essa non verrà coltivata lo stesso PdL inteso come partito nazionale a vocazione maggioritaria perderà di senso. Per questo, e per liberare il problema del partito del Sud dalle convenienze più immediate della politique politicienne, nel limite delle mie capacità ho cercato di offrire un contributo al dibattito: di esprimere punti di vista, idee, possibili soluzioni.

Indice

“Il “Partito del Sud” porterebbe il bassolinismo nel PdL”

“Il Sud è una questione nazionale: idee per un nuovo meridionalismo”

“Una proposta alla Lega oltre le “gabbie”: fiscalità di vantaggio e contrattazione decentrata per seppellire l’assistenzialismo”

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La Costituzione economica è da riformare?

La Costituzione economica è da riformare?

Cinque domande e alcune risposte sulla Costituzione economica italiana

Le analisi scientifiche, le riflessioni culturali, le proposte politiche relative alle disposizioni costituzionali che governano le attività economiche e il rapporto fra Stato e mercato sono rimaste appannaggio di una ristretta cerchia di studiosi e appassionati della materia o, al massimo, si sono tradotte in sporadiche e temerarie iniziative parlamentari. Eppure, probabilmente, la sezione economica della nostra Carta fondamentale è quella che mostra di più i segni dell’usura del tempo. Nel lasso di tempo intercorso dalla sua approvazione si sono, infatti, profondamente, modificati tutti gli elementi fondamentali del contesto politico ed economico, interno e internazionale, che caratterizzava l’Italia, l’Europa e il mondo stesso alla fine della seconda guerra mondiale.

Avviare una riflessione seria e approfondita sulla questione appare oggi fondamentale. E non solo perché negli ultimi mesi si è verificata un’improvvisa e inaspettata ripresa dell’attenzione politica su questi temi. Il sistema politico e istituzionale italiano attraversa da diversi anni un difficile e faticoso processo di transizione. E non c’è dubbio che questo processo potrà dirsi definitivamente ed efficacemente compiuto solo quando anche sui principi e sui vincoli costituzionali in materia economica sarà stata raggiunta un’ampia condivisione su un nuovo testo che ponga fine all’attuale stato di dissociazione fra la Costituzione economica formale e la Costituzione economica materiale.

Indice

  1. È necessaria una Costituzione economica?
  2. Perché l’Italia ha una Costituzione economica?
  3. Quale è stata la resa della nostra Costituzione economica?
  4. È attuale la nostra Costituzione economica?
  5. Occorre cambiare la nostra Costituzione economica?

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I valori della tradizione nazionale

L’altro illuminismo

La funzione pubblica della verità

La fondazione Magna Carta è nata sull’onda del ripensamento del rapporto tra politica e religione nello spazio pubblico, in un mondo che cambia.

La tradizione dell’illuminismo non è una tradizione monoteistica. E’ sempre esistito un altro illuminismo rispetto a quello classico, quello cioè del continente; c’è l’illuminismo di natura anglosassone, che proveniva dalla Scozia, e che si è profondamente diversificato, ed una di queste diversità è proprio nel rapporto tra politica e religione, che, forse, storicamente potrebbe essere considerata la distinzione fondamentale tra i due illuminismi, perché laddove l’illuminismo di tipo continentale voleva a tutti gli effetti essere una religione alternativa, una religione civile, e per questo era portato a negare la funzione pubblica della religione, confinandola nello spazio della coscienza individuale (nel “ghetto della coscienza individuale”, per usare una frase dell’allora cardinale Joesph Ratzinger), l’illuminismo scozzese riteneva, invece, che la democrazia non potesse fare a meno di nutrirsi di fedi che facevano riferimento a religioni rivelate, e quindi non solo ha ritenuto possibile la presenza delle religioni nello spazio pubblico ma addirittura l’ha ritenuta necessaria. Questo è il motivo per cui, sia nella tradizione americana sia in quella anglosassone, il contributo della Chiesa – anzi delle chiese – è un contributo generico della stagione democratica, in assenza del quale la stessa democrazia non sarebbe concepibile.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti d’America – lo ha spiegato molto bene Tocqueville -, se si leggesse la Dichiarazione d’Indipendenza non sarebbe difficile scorgere il contributo, che, appunto, la religione ha portato alla stesura di quel testo fondamentale. Così come se si passasse dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna, ad esempio, una tesi fondamentale del liberalismo classico è che il liberalismo inglese, quello da cui poi nasce la tradizione costituzionale, la tradizione del parlamento, sia in diretta comunicazione con il contributo che viene dato alla vita pubblica dalle diverse chiese. Quindi, il liberalismo sul continente è visto come l’avversario della religione stessa dalla filosofia della dottrina liberale.

L’illuminismo al quale facciamo riferimento non è quello storico; è una proposta, invece, attuale, che si basa su un’idea di ragione fondamentalmente differente da quella proposta dall’illuminismo classico. La ragione a cui facciamo riferimento non interessa solamente i territori della mente ma investe appieno i territori del cuore e quelli dell’anima. E’, dunque, una nozione di ragione più ampia, più comprensiva, e questo evidentemente è un tema che incrocia immediatamente in maniera diretta quella che rappresenta un’altra frattura fondamentale del dibattito pubblico su questo tema, e cioè il ruolo della verità.

Indice

“L’altro illuminismo”

Fondazione Magna Carta, 13 Maggio 2010

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Geopolitica dell’energia

Geopolitica dell’energia

Le applicazioni strategiche dell’approvvigionamento energetico in Italia

L’Italia si trova oggi ad affrontare una fase cruciale in materia di politica energetica, con riferimento particolare al settore dell’energia nucleare ma anche, e soprattutto, per quel che riguarda la sua funzione di importante attore della politica estera europea, con ricadute fondamentali su tutte le questioni mediorientali, che vedono nell’energia uno dei fattori strategici essenziali.

L’Italia, oggi, importa l’86,5% del suo fabbisogno energetico e nel 2020 questa percentuale salirà al 95%. Queste cifre evidenziano, in maniera molto efficace, la serietà del problema.

Come è possibile, infatti, che un paese avanzato come l’Italia, dove i consumi energetici sono importantissimi e l’approvvigionamento energetico è fondamentale per un’economia industriale sviluppata, dipenderà, tra meno di dieci anni, per il 95% del proprio fabbisogno energetico da fonti il cui controllo non rientra nell’ambito della propria sovranità nazionale?

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“Geopolitica dell’energia”

Fondazione Magna Carta, 27 Maggio 2010

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Il patto intergenerazionale

Il patto intergenerazionale

Pensioni ed equità tra generazioni

Il tema del rapporto fra generazioni è una delle questioni centrali della politica italiana all’inizio del nuovo Millennio. Si avverte, cioè, l’esigenza di una riflessione sul fatto che alcuni istituti fondamentali del sistema economico e sociale italiano, realizzati in una fase storica molto diversa da quella attuale, non si siano in alcun modo adeguati ai successivi cambiamenti del sistema e siano causa di una serie di fratture molto gravi che sono, poi alla base di quella scorsa competitività dell’Italia sul panorama internazionale.

L’Italia ha un sistema sociale – si pensi al sistema pensionistico ma, soprattutto, al mercato del lavoro – in cui il rapporto tra insiders e outsiders è ormai cristallizzato e qualunque tentativo di riforma si scontra con la difesa corporativa di chi alcune tutele le ha ottenute, e in cui paradossalmente – questa è la realtà più singolare – vi è una quasi complessa assenza di consapevolezza da parte di coloro che dovrebbero essere in prima fila per rivendicare un cambiamento del sistema. Basti pensare, ad esempio, alla problematica legata all’articolo 18.

In questa prospettiva dovrebbe essere collocata anche la materia pensionistica, da affrontare con una logica più ampia nella quale alle questioni di natura strettamente finanziaria si affianchino anche valutazioni di carattere politico e culturale. Occorre cioè capire se sono sia necessario apportare all’attuale sistema i correttivi necessari a definire un miglior equilibrio nel confronto fra le generazioni, garantendo un’adeguata prospettiva previdenziale ai giovani di oggi, pensionati di domani.

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“Il patto intergenerazionale”

Fondazione Magna Carta, 26 Aprile 2010

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Fiume nei primi 50 anni del Novecento

Fiume nei primi 50 anni del Novecento

Irredentismo, economia, società

Oggi, anche grazie agli studi svolti da una nuova generazione di storici, numerose vicende della storia d’Italia, per troppo tempo dimenticata da gran parte della storiografia, sono divenute oggetto di attenzione e di nuovi studi.

La storia di Fiume, che per molti di coloro che non sono storici di professione, rappresenta un episodio indubbiamente marginale della storia nazionale, in realtà costituisce un caso molto interessante perché si inserisce in una serie di momenti centrali nella storia italiana: dalla crisi dello Stato liberale al primo movimento fascista rivoluzionario, dal consolidamento del regime mussoliniano alla seconda guerra mondiale.

Fiume, cioè, visse prima e meglio di altre realtà questi momenti storici che poi avrebbero riguardato l’intera comunità nazionale; e quindi, in qualche misura, studiando e ripercorrendo le vicende di Fiume si comprende certamente meglio la storia d’Italia nel corso del Novecento.

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“Fiume nei primi 50 anni del Novecento”

Fondazione Magna Carta, 21 Aprile 2010

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La democrazia degli elettori

La democrazia degli elettori

Il Popolo, i partiti e la sovranità nella lunga transizione italiana

In realtà non si tratta di una novità: una transizione del genere si è già compiuta in quasi tutte le democrazie contemporanee. Ciò che ha, invece, caratterizzato il caso italiano è il ritardo con cui questo passaggio si è manifestato.

Fra la varietà del sistema, quel partito di massa sul modello della SPD tedesca, che in Italia è stato considerato l’archetipo dell’organizzazione politica, era soltanto una delle ipotesi: non era l’unica possibile, e infatti è stata in gran parte superata. Altri sistemi si sono evoluti verso quella che talvolta viene definita “democrazia del pubblico”: alcuni ritengono che questa sia una definizione negativa a causa del suo connotato leaderistico-plebiscitario, ma in realtà questo elemento ha fortemente incrementato il grado di rappresentatività dei sistemi politici attuali, caratterizzati da una organizzazione e da una gestione delle istanze e del consenso molto più rapida, e quindi molto più efficace, di quanto avveniva nei sistemi in cui tutto era filtrato da organizzazioni di massa strutturate, articolate e complesse.

Di fronte a questo passaggio sociale – perché prima ancora che politico e istituzionale ha un carattere sociale, derivante dal profondo mutamento del tempo e delle forme della partecipazione politica nell’organizzazione delle società contemporanee – si pongono nella sostanza tre questioni.

La prima riguarda la reversibilità o irreversibilità di questo passaggio: bisogna comprendere in che modo esso sia da considerare acquisito, e, almeno nell’attuale fase storica, in qualche misura irreversibile.

La seconda questione investe la valutazione di questo passaggio: in che modo esso sia un passaggio positivo, a che condizioni possa esserlo, e, viceversa, in che misura possa rappresentare un pericolo.

La terza questione, che è la più attuale alla luce delle riforme sulle quali in tempi recenti si è consumato il dibattito politico, richiede di interrogarsi sul modo in cui il sistema italiano abbia adeguato i propri meccanismi istituzionali a questo passaggio sociale e istituzionale; comprende, cioè, fino a che punto la Costituzione e le norme non costituzionali siano adeguate a rendere il sistema istituzionale funzionale alle nuove dinamiche sociali.

Vi è, infatti, la convinzione che i mutamenti sociali abbiano determinato un cambiamento radicale nella politica, che è quello che si vive in Italia da circa vent’anni, ma che l’architettura del sistema non si sia ancora adeguata a tale evoluzione. Per questa ragione, rispetto ai mutamenti sociali intervenuti, partendo da un’analisi delle disfunzionalità sistemiche ad oggi evidenti, bisognerebbe, con un’accurata diagnosi, cercare di definire gli opportuni correttivi.

Indice

“La democrazia degli elettori”

Fondazione Magna Carta, 15 Aprile 2010

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SUD. Formazione e capitale umano

SUD. Formazione e capitale umano

L’Italia vanta una lunga tradizione scientifica d’eccellenza e può contare su istituti universitari e centri di alta formazione che, malgrado le difficoltà finanziarie con cui devono confrontarsi, continuano a produrre ricerca di alto livello e a formare ricercatori di straordinario talento.

Nel nostro Paese a mancare non sono le istituzioni d’eccellenza ma un sistema che dia fiducia, sia attraente per un ricercatore: al termine di un progetto che dura mediamente cinque anni, un ricercatore non può avere l’incertezza sulla possibilità di continuare a sviluppare il suo programma. Questa incertezza deriva fondamentalmente dall’insufficienza delle risorse destinate, sia dal settore pubblico che dal settore privato, alla ricerca e dalla persistente incertezza nel riconoscere alla ricerca un ruolo essenziale nella strategia di sviluppo del Paese.

L’Italia è, tra i paesi sviluppati, quello che presenta meno imprese impegnate, con elevata percentuale del fatturato, in ricerca e sviluppo. Ciò si riflette sulla capacità brevettuale dell’industria italiana. Altro problema non trascurabile è la capacità di risorse umane dedicate. Anche questo parametro denota il ritardo dell’Italia rispetto all’Europa.

Indice

“La ricerca scientifica in Italia”

“La ricerca scientifica nel Mezzogiorno”

“Strategie per potenziare l’impatto dei Centri di ricerca nel Mezzogiorno”

“La formazione del capitale umano nel Mezzogiorno”

“Strategie per trattenere/attrarre capitale umano nel Mezzogiorno”

Appendice

Centri universitari d’eccelleza ed enti pubblici di ricerca nel Mezzogiorno

Basilicata: enti pubblici di ricerca

Calabria: centri d’eccellenza; enti pubblici di ricerca

Campania: centri d’eccellenza; enti pubblici di ricerca

Puglia: centri d’eccellenza; enti pubblici di ricerca

Sardegna: centri d’eccellenza; enti pubblici di ricerca

Sicilia: centri d’eccellenza; enti pubblici di ricerca

Distretti tecnologici; Basilicata; Calabria; Campania; Puglia; Sicilia

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SUD. Il ritorno delle opere pubbliche

SUD. Il ritorno delle opere pubbliche

La possibilità di perseguire una politica per il nostro Meridione passa attraverso azioni che migliorino la reale capacità di coordinare e programmare, la qualità della Pubblica amministrazione, la disponibilità di risorse indirizzate verso investimenti coordinati in un quadro di sistema.

A ciò va aggiunta la messa a punto di istituti finanziari ed economici che siano in grado di cofinanziare gli investimenti ed una iniziativa di governo che garantisca una solidarietà tariffaria e una fiscalità di vantaggio soprattutto sui capitali che si muovono all’interno del piano degli investimenti frutto della programmazione.

Questi possono essere alcuni suggerimenti utili nel quadro di una nuova visione della politica Meridionale, rivista in una chiave moderna ed europea.

Indice

“Sud. Il ritorno delle opere pubbliche”

Napoli, 28 settembre 2009

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SUD. La sicurezza necessaria

SUD. La sicurezza necessaria

I temi dello sviluppo delle regioni del Sud Italia non possono essere ridotti alla pur importante riflessione sul divario esistente con il Nord. Premesso che i divari tra diverse regioni di una stessa nazione non costituiscono solo un fenomeno italiano è necessario interrogarsi sui fattori che hanno condizionato una crescita più lenta dell’economia del Sud Italia.Due fattori critici rallentano oggettivamente, al di là di deformazioni mediatiche, lo sviluppo del Mezzogiorno: la perdita di popolazione, e in particolare l’emigrazione di giovani in possesso di elevate potenzialità professionali, verso altri territori dove cogliere maggiori possibilità di lavoro; la presenza di forme diffuse e pervasive del crimine organizzato di matrice mafiosa.

Indice

“Sud. La sicurezza necessaria”Napoli, 28 settembre 2009

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Per un’Italia finalmente normale

Per un’Italia finalmente normale

Il “lodo Alfano” e i geni invisibili delle legittimità

Il provvedimento noto come “lodo Alfano” investe un problema che ha attraversato la storia d’Italia in profondità, e al quale è legata quella peculiare debolezza della politica nel nostro Paese che è stata rilevata da storici, sociologi, politologi italiani e stranieri, fino a costruire un tipico tema di investigazioni da parte delle scienze sociali. Mi riferisco alla illegittimità del potere politico. Al fatto che in Italia l’esercizio del potere è sempre stato avvertito in fondo come un’usurpazione.

Per questa ragione, la classe politica e la stessa nozione di cittadinanza da un canto hanno scontato un atteggiamento di sudditanza nei periodi in cui veniva percepita la forza del potere, dall’altro una ingiustificata e spietata crudeltà quando esso ha dato segni di cedimento.

Sicché la lotta politica delle opposizioni, invece di svolgersi sul terreno del confronto tra idee e programmi, ha teso piuttosto a sfruttare questo diffuso sentimento di illegittimità, e a creare le premesse affinché con la caduta di un potente si potesse aprire un nuovo capitolo della vicenda politica italiana.

Indice

“Per un’Italia finalmente migliore”

Intervento in Assemblea del Senato, 22 luglio 2008

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Le nostre radici europee

Le nostre radici europee

Il Trattato di Lisbona e il rilancio dell’Unione

Per comprendere appieno da dove origina la crisi dell’ideologia europeista, e smentire i tanti commentatori che su questo terreno hanno inteso vaticinare l’avvento di un’insanabile frattura nella maggioranza di governo, occorre fare qualche passo indietro, e risalire fino alle radici di quell’europeismo italiano che lungi dall’avere una matrice unitaria, conobbe due fatti d’ispirazione profondamente diverse.

La prima fonte d’ispirazione fa capo ad Alcide De Gasperi e alla tradizione del popolarismo mitteleuropeo. Essa, di fronte alle tragedie che hanno marcato a fuoco il Novecento, scorgeva nella tradizione della civiltà europea il tessuto connettivo in grado di sanare le ferite che il secolo dei nazionalismi aveva inferto sul corpo del Vecchio Continente.

L’altro europeismo che nacque, grazie ad Altiero Spinelli, nelle solitudini di Ventotene. Immaginando l’Europa da quell’isola non solo si pensava ad un recupero del passato, tantomeno alla forza di una tradizione da resuscitare.

Indice

“Le nostre radici europee”
Intervento per dichiarazione di voto in Assemblea del Senato, 23 luglio 2008

Appendice

“Il declino dell’Europa nell’età contemporanea”

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Religioni, verità, libertà

Religioni, verità, libertà

Lectio magistralis tenuta alla Summer School 2008 della Fondazione Magna Carta

Per questo dobbiamo sentire come impellente l’esigenza di rielaborare e ridefinire categorie che ci permettano di pensare in maniera nuova la dimensione fondamentale del vivere insieme. Personalmente ritengo che categorie come reciprocità, tolleranza ed integrazione – marcatamente occidentali – si stiano rivelando non necessariamente sbagliate, ma insufficienti. Non tanto per i valori cui rimandano, quanto per quello che non riescono a pensare e a comunicare.

Prima di tutto occorre insistere sul fatto che l’inedita mescolanza di popoli che caratterizza le nostre società, imponendo come inevitabile l’incontro tra enti e religioni diverse, è innanzitutto un processo in atto, che io indico con l’espressione meticciato di civiltà e di culture. Non è quindi né una teoria sull’integrazione culturale né una categoria complessiva di comprensione della realtà. E’ un nome dato ad un processo. La categoria di meticciato di civiltà permette però di far riferimento ai cosiddetti “universali concreti” delle religioni. Ma se di universali concreti si tratta, vissuti quotidianamente da quei soggetti comunitari che sono i popoli, si comprende allora che la strada per l’incontro tra gli uomini non può essere altro che la testimonianza. A patto di dare a questa categoria tutta la sua forza fondativa e teoretica, lontani da riduzioni di stampo moralistico.

La scelta di riferirsi a degli universali concreti si precisa anche come tentativo di interpretazione culturale delle religioni. Anche le religioni, infatti, in ogni tempo, sono inevitabilmente assunte dai soggetti che le praticano dentro una interpretazione culturale. Nasce così un conflitto di interpretazioni. Vale per il Cristianesimo, vale per tutte le religioni. Per esempio, in Italia si incontrano e si scontrano in questa fase di “post secolarismo” due interpretazioni culturali del Cristianesimo.

La prima è quella di chi rischia di ridurlo ad una religione civile, che faccia da collante per tenere insieme la nostra affaticata democrazia.

L’altra è quella che io definisco “cripto-diaspora”. Molti sostengono che, proprio perché il Cristianesimo non è una religione civile, esso dovrebbe ridursi all’annuncio personale della Croce di Cristo, e di Colui che predicò il Regno e scelse la forma del povero, mentre per quanto riguarda la questione pratica dell’etica, dell’economia e della politica i cristiani debbono stare in diaspora senza nulla di proprio da proporre in comune.

Ma c’è anche una terza interpretazione, minoritaria, che io sostengo e cerco di perseguire, che sta sul crinale della montagna e tenta di evitare di cadere sia nella riduzione a religione civile, sia in quella della dimensione di cripto-diaspora, proponendo un’interpretazione integrale del fatto cristiano e mostrando tutte le implicazioni, antropologiche, sociali, cosmologiche dei misteri del Cristianesimo. E’ vero che per la visione cristiana del “pratico” sono comuni a tutti gli uomini, ma dalla sequela comunionale di Gesù Cristo scaturiscono, a livello di tutte le implicazioni richiamate, precise proposte, talora necessarie talora contingenti, per vivere il “pratico” (etica, economia e diritto) secondo verità e, quindi, in pienezza.

Indice

“La religione nella società in transizione”

“Riflettere sulla libertà religiosa e di coscienza”

“La libertà religiosa: il “caso serio” del rapporto verità-libertà”

“Testimonianza, proposte e dialogo”

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Il riscaldamento globale

Il riscaldamento globale

Le mutazioni climatiche e i pregiudizi ideologici

Riteniamo questa messa a fuoco assolutamente necessaria, perché sull’argomento si è scatenata non solo in Italia, ma in tutto il mondo, una strumentalizzazione mediatica e politica di eccezionale portata, un vero e proprio tsunami, che rischia di travolgere tutti, diffondendo ovunque paure incontrollate ed errate convinzioni e strumentalizzando queste paure per far accettare ai cittadini pesanti (e non necessari) sacrifici. Al riscaldamento atmosferico attualmente osservato sono state attribuite conseguenze a medio termine di gravissime catastrofi ambientali: desertificazioni, aumenti elevati del livello dei mari, sconvolgimento del clima. Nulla di meglio per i media, sempre alla ricerca dello scoop da prima pagina.

Ma nulla di peggio per la retta conduzione della cosa pubblica, perchè sono numerosi i politici pronti a strumentalizzare l’onda di paura. Anche in politica vale il detto di Archimede a proposito della leva: “dammi un punto di appoggio e ti solleverò il mondo”. Una grande paura diffusa, non importa se ingiustificata, costituisce un formidabile punto di appoggio perfino per far accettare ai cittadini economie di guerra in tempo di pace (come si sta prospettando).

Desideriamo infine sottolineare che su questo delicato tema dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale non abbiamo preconcetti di sorta. Il nostro unico riferimento per le valutazioni e le scelte da assumere è la scienza, quella vera, che, là dove può, è eccezionale fonte di certezza e che comunque è sempre in grado di indicare i propri limiti. In questo campo, come vedremo, non sono affatto poche le aree in cui le ricerche scientifiche sono ancora in corso e le cause dei fenomeni non sono state del tutto chiarite. È importante che ci sia al riguardo una precisa informazione. Solo la scienza può fornire gli elementi necessari per evitare di essere travolti dalle pressioni mediatiche. Confidiamo che queste pagine riescano ad essere utili al lettore.

Indice

Premessa

“Il clima sulla Terra”

“I cambiamenti climatici”

“Le difficoltà della misura del riscaldamento globale”

“Le cause del riscaldamento globale in atto”

“La climatologia”

“Emissione antropogenica di anidride carbonica e consumo di energia”

“Il nocciolo del problema”

“Il Protocollo di Kyoto”

“Le fonti energetiche rinnovabili”

“La politica energetica della Comunità Europea”

Conclusioni

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Immigrazione senza regole

Immigrazione senza regole

Leggi e atti del Governo Prodi. Prospettive per gli stranieri e per gli italiani

Combattere la politica dell’immigrazione seguita dal Governo Berlusconi, da larga parte dei Paesi europei e dalla stessa Commissione UE, è stato uno dei cavalli di battaglia del Centrosinistra nella passata Legislatura. Spesso il contrasto è stato aprioristico e immotivato: in un primo momento la Sinistra ha osteggiato con durezza le misure introdotte e applicate dal Centrodestra, in un secondo momento – con ammirevole incoerenza – le ha trasformate, almeno in parte, in proprie proposte.

Il proposito di modificare radicalmente le norme in materia, e più in generale l’intera politica del settore seguita nel precedente quinquennio, è stato uno dei punti qualificanti della campagna elettorale dell’Unione nel 2006.
Il 24 aprile 2007 il Consiglio dei Ministri ha varato un disegno di legge, denominato “Ferrero Amato”, di integrale modifica del Testo unico sull’immigrazione, partendo dal presupposto dichiarato che ciò che è stato fatto in passato, in particolare dal Governo e dalla maggioranza di Centrodestra, è sbagliato e va cambiato.

Questa pubblicazione ha lo scopo di fornire un primo sintetico orientamento a chi è interessato da una delle questioni più delicate e complesse sul piano politico, sociale e culturale. È divisa in tre parti: prendendo le mosse dalla stretta attualità, cerca anzitutto di comprendere le linee guida della riforma che il Governo propone al Parlamento, e prefigura gli effetti che potrebbe provocare; in secondo luogo, descrive gli interventi normativi e gli atti amministrativi adottati durante il Governo Berlusconi, insieme con i risultati raggiunti; infine, inquadra la “Ferrero Amato” nell’insieme dei provvedimenti già varati dall’Esecutivo in carica sull’immigrazione. Tutto ciò per capire, dati alla mano, quanto sia fondata la necessità di un così radicale mutamento di impostazione.

Indice

Premessa

“Il DDL Ferrero Amato”

“Che cosa è stato fatto dal Governo Berlusconi”

“Che cosa ha fatto il Governo Prodi prima del DDl Ferrero Amato”

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Il berlusconismo nella storia della Repubblica: continuità e discontinuità

Il berlusconismo nella storia della Repubblica

Convegno “L’Identità e il Futuro. Berlusconismo – Popolo delle libertà – Centrodestra” della Fondazione Liberal, Roma 25-27 gennaio 2007

Nel gennaio 1994, quando Berlusconi annunziò l’intenzione di entrare in politica, la maggior parte degli analisti ritenne si trattasse di un fenomeno passeggero, come se ne erano visti tanti altri nella politica italiana. Berlusconi, per la maggior parte di loro, non avrebbe “mangiato il panettone”: al Natale successivo non se ne sarebbe più parlato. Sono trascorsi tredici natali da allora. Di Berlusconi si parla ancora, per quanto non manchino certo coloro i quali continuano a scommettere sulla sua imminente fine politica. Il “berlusconismo” ha ormai conquistato la durata e, inevitabilmente, in questi tredici anni ha subito dei mutamenti. Non di meno, per comprendere cosa esso sia non si può fare a meno di considerarne le origini e di ricostruire attraverso quali percorsi il fenomeno sia giunto ad istituzionalizzarsi.

Indice

  1. Teorie sulla transizione italiana
  2. Ritorno al 1994
  3. L’innovazione sistematica
  4. I conti con l’eredità liberale
  5. L’innovazione ideale
  6. Conclusioni

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Noi, loro e il Papa

Noi, loro e il Papa

Lettera aperta agli amici di Magna Carta, ottobre 2005

Magna Carta non è un movimento politico organizzato e non ha responsabilità e finalità politiche dirette. E’ un “think Tank” libero, un gruppo intellettuale che pensa in proprio, che produce libri, convegni, seminari, lezioni, commenti politici su vari argomenti. Il solo catalogo delle pubblicazioni e degli interventi di Magna Carta è già lungo: dalla riforma della Costituzione a quella universitaria, dall’Europa alla pubblica amministrazione, dalla bioetica all’economia, dal Trattato costituzionale europeo al risveglio religioso cristiano, dal dialogo fra laici e credenti al fanatismo e al terrorismo che agisce nel nome dell’Islam.

Un “think thank” curioso e originale che ha suscitato interesse ed è stato fatto segno di attenzione, da ultimo addirittura dal Papa Benedetto XVI che ci ha inviato a Norcia un del tutto inusuale e sostanzioso messaggio autografo.

Forse è proprio questo lo scandalo: il confronto e il messaggio.

Indice

“Noi, loro e il Papa” di Marcello Pera

Risposte

“Stato liberale e valori” di Pierluigi Barrotta

“La nostra civiltà” di Girolamo Cotroneo

“Libertà individuali e scelte collettive” di Raimondo Cubeddu

“Pochi commenti e una proposta” di Adriano De Maio

“Pera, Panella e il rapporto con la Cei” di Oscar Giannino

“Beneficiare della tradizione… passi in avanti nella direzione delle autentiche libertà” di Alfredo Mantovano

“L’ultimo tabù della cultura repubblicana” di Giovanni Orsina

“Teo-Con? No grazie! Semplicemente liberale” di Raffaele Perna

“Religione, tradizione della filosofia pubblica, laicità” di Vittorio Possenti

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Lezioni americane

Lezioni americane

La crisi dell’Europa illustrata con la crisi del liberalismo
Liberali, cannibali, cristiani

Il rischio più insidioso del liberalismo sono sempre state le libertà “di”, o le “libertà positive”, per usare la celebre terminologia di Isaiah Berlin. Si tratta delle libertà di disporre e, di conseguenza, di allocare risorse tramite il potere politico al fine di realizzare l’uguaglianza economica e la giustizia sociale. Inglobando sempre più queste libertà, i regimi liberali sono diventati degli “ibridi”, solitamente chiamati “democrazia liberali”, i quali però, per nostra fortuna, oggi funzionano molto bene. Parallelamente alla evoluzione dei regimi liberali, anche la dottrina liberale è oggi diventata un “ibrido”. Nella sua versione precedente, essa assume la forma di “pluralismo dei valori” o “pluralismo liberale”. E questa, purtroppo, non funziona altrettanto bene.

Indice

“La crisi dell’Europa illustrata con la crisi del liberalismo”
Yale University, 19 settembre 2005

“Liberali, cannibali, cristiani”
Georgetown University, 22 settembre 2005

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Democrazia è libertà? In difesa dell’Occidente

Democrazia è libertà? In difesa dell’Occidente

Discorso pronunciato in apertura del Meeting dell’amicizia. Rimini, 21 agosto 2005

L’Occidente è da tempo avvolto in un ciclo di crisi ricorrenti. Le liberaldemocrazie si sono scontrate nella prima guerra mondiale; rinate dalla strage, produssero nel loro seno fascismo, nazismo, comunismo; risorte dal massacro della seconda guerra mondiale e vinta la guerra fredda, oggi si trovano alle prese con un indebolimento o una perdita della propria identità culturale, soffocata dall’opulenza materiale oltre che minacciata dal fondamentalismo islamico.

La combinazione di questi due fatti produce una contraddizione. Mentre come entità economico-istituzionale l’Occidente si espande, come entità etico-spirituale si contrae. Per un verso propone, per un altro s’interroga sulla bontà di ciò che propone. In questa scissione tra progresso materiale e crescita spirituale, risiede precisamente la crisi dell’Occidente.

Indice

“Tre domande”

“La crisi di identità dell’Occidente e l’Europa”

“Questioni preliminari”

“La teoria liberaldemocratica”

“Limiti della teoria”

“Stato laico, religione e politica”

“Noi e gli altri”

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Una politica. Un partito

Una politica. Un partito

Come affrontare la modernità

L’Occidente è oggi chiamato a rispondere ad un attacco che, insieme, è culturale e di potenza. E che, per di più, proviene sia dall’esterno, sotto forma di guerra asimmetrica fomentata dal terrorismo islamico, sia dal suo stesso seno, nelle sembianze di dubbio corrosivo verso strutture sociali selezionate dalla propria cultura e dalla propria tradizione. L’Europa è ripiegata su se stessa, priva di bussola.

L’Italia è chiamata a espiare il quarto di secolo nel quale la gran parte dei problemi del suo sviluppo economico, civile e politico, anziché essere risolti sono stati più semplicemente celati alla vista, con la stessa tecnica che usa chi sospinge la sporcizia sotto i tappeti.

Queste trasformazioni rendono più complesso e meno lineare il riferimento alla modernità da conquistare. Si tratta, infatti, di salvare quel che si è acquisito in quest’ultimo decennio; di comprendere gli inediti vincoli che il moderno deve oggi saper rispettare e, infine, di riuscire a proporre le riforme che ancora attendono di essere poste in atto attraverso strumenti e modalità che risultino compatibili con le novità epocali che si sono nel frattempo registrate.

Indice

“L’identità” di Gaetano Quagliariello

“La modernizzazione” di Giovanni Orsina

“Lo Stato, le istituzioni e la giustizia” di Nicolò Zanon

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Università libera

Università libera

Per un Osservatorio sull’università in Toscana

Emile Boutmy, fondatore dell’Ecole Libre des Sciences Politiques – l’odierna Scienze-PO – quando nel 1871 si accinse all’impresa partì da una premessa: a Sedan, a sconfiggere la Francia, non era stato l’esercito prussiano ma l’università di Berlino. La sentenza potrebbe essere parafrasata e aggiornata. Al tempo della globalizzazione, se il paese dovesse continuare a scivolare lungo un crinale di declino, la prima vittima della sconfitta sarebbe l’università italiana. Oggi infatti, ancor più di ieri, non c’è ripresa e sviluppo né prestigio nazionale che possano prescindere dalla capacità di produrre ricercatori di rango e ricerca avanzata. E non c’è coesione sociale che possa fare a meno di una cultura in grado d’evidenziare e diffondere le ragioni fondamentali dello stare insieme.

L’università, per tutti questi motivi, è una grande questione nazionale della quale dovrebbero occuparsi coloro i quali tengono in conto il destino della loro patria. E non soltanto dei sedicenti “esperti”, pronti a disquisirne con linguaggio esoterico da iniziati, trasformando un tema dal quale dipende il nostro futuro in un’incomprensibile ed inconcludente litania.

Per questo, il primo compito di chi intenda cambiare le cose è quello di portare il tema della riforma dell’università all’attenzione del grande pubblico, rendere “nazionale” la questione, dando consapevolezza al paese della centralità che questa istituzione riveste nella vita di ogni società moderna. Allo stesso tempo, sarà necessario concedere la parola a quanti vivono nell’università e ne costituiscono l’anima operante. Questa voce è stata fino a oggi soffocata da “minoranze rumorose”, in grado solo di opporre i loro no corporativi a qualsiasi iniziativa riformatrice, un’ostinata difesa di diritti acquisiti (per lo più i propri), di fronte ai quali destra e sinistra divengono solo vacue categorie politologiche e per i quali l’immobilismo della politica ha rappresentato una salvaguardia di spazi di manovra e di potere.

Indice

I. Riflessioni sulla riforma possibile

“Le scuole degli Stati Uniti come le vidi io” di Gaetano Salvemini

“Fermiamo la fuga di cervelli”

“Un po’ di precarietà serve alla ricerca”

“Appello per l’Università. Siamo stanchi dei no, noi vogliamo cambiare”

“Abbiamo vinto la scommessa delle firme”
forum con Aldo Schiamone, Gaetano Quagliariello e Ernesto Galli della Loggia

“Manifesto dei dodici per salvare l’Università”

“La linea del Piave dell’Università da riformare”

“C’è un blocco da rimuovere”

“Uno spazio in più di libertà”

“Storia di una madrassa liberale”

II. I dati

Le fonti

Una proposta finale: Un Osservatorio sull’università in Toscana

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